Il 30 dicembre di due anni fa moriva, nel reparto di rianimazione dell’ospedale Maria Vittoria, un detenuto del carcere delle Vallette di Torino, Antonio Raddi.
Antonio era un ragazzo di 28 anni e la sua morte ancora oggi rimane avvolta nel mistero perché proprio in carcere ed in soli 7 mesi di detenzione aveva perso oltre 40 chili, più di un terzo del suo peso. Ufficialmente la causa della morte di Antonio è stata un’infezione polmonare ma il suo corpo, come è facilmente intuibile dalla forte perdita di peso, era già decisamente debilitato.
Una tragedia che poteva essere evitata? Secondo la famiglia di Antonio ma anche secondo il Garante delle persone private della libertà della Città di Torino non c’è stato nessun aiuto concreto da parte del servizio sanitario del penitenziario al ventottenne torinese.
La morte di Antonio Raddi in questi ultimi due anni è diventata un “caso” e la famiglia ha cercato e chiesto giustizia per Antonio con l’obiettivo che tutto ciò non debba più succedere a nessun altro. Ma dopo due anni la Procura di Torino ha chiesto di archiviare il caso, senza colpevoli.
Sulla morte di Antonio Raddi infatti erano indagati 4 medici carcerari ma con l’archiviazione del caso le accuse non possono che decadere.
Ora la famiglia e gli avvocati chiedono di riaprire il caso e proprio oggi, 30 dicembre 2021, nell’anniversario della morte di Antonio la famiglia di Antonio, insieme alla Garante ha deciso di raccontare il calvario di Antonio in una conferenza aperta presso il Centro Studi Sereno Regis di Torino.
Per non dimenticare ma soprattutto per chiedere giustizia.

“Nessuno dovrebbe rischiare la salute e la vita nei nostri istituti detentivi. Spero che la Procura rivaluti questa vicenda” denuncia Grimaldi
Sulla caso Raddi si è pronunciato anche il Capogruppo di Liberi Uguali Verdi, Marco Grimaldi che ha affermato come il ragazzo avesse comunicato di avere problemi ad alimentarsi già dal mese di agosto. Ben 4 mesi prima della sua morte.
“Dalle numerose testimonianze emerge che all’interno della casa circondariale molti operatori erano convinti che non fosse vero e oggi si difendono dicendo che non era collaborativo. Anche l’incuria può essere una forma di violenza ed è compito della Giustizia constatare se esistano delle responsabilità precise: spero che decida innanzitutto di riaprire uno spiraglio di luce su questa vicenda. So però che non vorrei più leggere di storie simili, che le pene alternative sono di certo più rieducative di ogni detenzione e mi piacerebbe che il carcere fosse ridotto a un’estrema ratio” ha dichiara Marco Grimaldi, al termine della conferenza stampa svoltasi questa mattina presso il Centro studi Sereno Regis di Torino.
Come emerso nel corso della conferenza stampa, la Garante delle persone detenute aveva segnalato il caso alla direzione delle Vallette nove volte, dall’agosto del 2019, senza mai ricevere una risposta.
Antonio Raddi è entrato in carcere il 28 aprile 2019 con il peso di 80 chili e a novembre la bilancia ne segnava solamente 50. Durante gli ultimi colloqui con la famiglia il giovane era così debilitato da essere sulla sedia a rotelle. Il 13 dicembre 2019 Antonio ha iniziato a vomitare sangue, defecare e svenire, fino a quando in serata non è stato portato al pronto soccorso del Maria Vittoria, dove la notte stessa è entrato in coma e pochi giorni dopo è morto.
Le domande che sono state poste oggi dalla Garante Gallo e dal papà di Antonio non hanno mai avuto una risposta esauriente. Indice del fatto che il “caso Raddi” è tut’altro che chiuso.
“Perché dopo il primo breve ricovero nessun medico del pronto soccorso ha saputo dichiarare che gli organi vitali di Antonio erano tutti compromessi e la sua situazione gravissima, come poi constatato il 13 dicembre? Quali delle autorità più e più volte sollecitate dalla Garante, dalla polizia penitenziaria, dal cappellano del carcere, dalla famiglia, si sono recate a vedere il ragazzo per verificare le sue condizioni? Come si poteva immaginare e sostenere che una situazione così compromessa fosse l’effetto di una simulazione per uscire dal carcere?” si sono chiesti sia la famiglia Raddi che il Garante per le persone detenute.

Carceri piemontesi: “utilizzare i fondi Pnrr per rinnovare subito la Sanità e l’edilizia penitenziaria”
Avevamo recentemente già evidenziato come la situazione delle carceri piemontesi non sia ottimale sia per i detenuti sia per chi all’interno delle carceri svolge il proprio lavoro. Ieri l’OSAPP, il sindacato aveva denunciato le pessime condizioni in cui versa il Carcere di Torino sostenendo come la situazione si sia acutizzata specialmente nelle ultime settimane.
E proprio oggi il Garante regionale delle persone detenute Bruno Mellano ha richiesto a gran voce che i 132,9 milioni di euro previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, messi a disposizione dal Governo, vengano utilizzati per far compiere un salto di qualità alla sanità e all’edilizia penitenziaria.
Ma affinché “il carcere possa sempre più essere vissuto come un’occasione di recupero, di formazione, di reinserimento nella società per trasformare il tempo della detenzione in un’occasione di riscatto personale e sociale è necessario operare in fretta per adeguare gli ambienti” ha insistito Mellano.
La richiesta è pervenuta a seguito a seguito della conferenza stampa di presentazione del Sesto dossier delle criticità strutturali e logistiche delle carceri piemontesi.
“La pandemia ha esasperato e aggravato i problemi esistenti. Va riconosciuto alle Istituzioni e all’Amministrazione penitenziaria di aver compiuto qualche passo per porvi rimedio, ma è indispensabile proseguire il potenziamento strutturale e infrastrutturale in modo omogeneo in tutti gli Istituti. Così come è necessario provvedere alla cronica carenza di personale nelle aree educativo-trattamentali, di polizia penitenziaria e di personale amministrativo, financo dei ruoli apicali come direttori e comandanti” ha dichiarato il Garante Mellano.
A denunciare i problemi strutturali gravissimi in cui versa il “Lorusso e Cutugno” è stato anche il consigliere regionale Marco Grimaldi che una ventina di giorni fa ha effettuato un sopralluogo all’interno della struttura.
“Le condizioni di questi luoghi e la sofferenza aggiuntiva cui sono costrette le persone già private della libertà è davvero una sconfitta dello Stato. Fanno bene i Garanti a chiedere l’utilizzo dei fondi PNRR, ma serve anche una nuova mentalità e un’altra attenzione da parte di tutte e tutti. Certamente non potremo mai accettare che chi è sottoposto a misure restrittive sotto la tutela dello Stato possa essere privato della dignità, della salute e addirittura della vita” ha concluso Grimaldi.