Alle Paralimpiadi di Tokyo 2020 ci sarà anche lei: Francesca Fossato, fisioterapista piemontese, nonché palleggiatrice della Nazionale femminile azzurra di sitting volley.
Fin da piccola ha sempre giocato a pallavolo e dopo il terribile incidente in moto, nel quale ha perso la gamba sinistra, ha iniziato la sua carriera agonistica. Per Francesca non è stato facile ricominciare: l’operazione, svariati mesi senza poter camminare, ma con il tempo la nostra atleta non si è solo avvicinata ad uno sport, ma è tornata a lavorare presso l’ospedale Mauriziano di Torino come fisioterapista.
Conciliare entrambe le cose non è facile, ma l’ambiente lavorativo e sportivo sono entrambi due gruppi compatti e coesi, con i quali riesce ad organizzarsi perfettamente.
Ora, dopo anni di sacrifici, di allenamenti su zoom a causa della pandemia, lontana dalle compagne di squadra, Francesca Fossato, detta Cipi, è pronta e determinata più che mai a fare squadra in quel di Tokyo!
Un cuore nella pallavolo
Sei sempre stata una sportiva e fin da piccola hai praticato il nuoto, il tennis, la pallavolo e lo sci. Dopo l’incidente in moto in cui hai perso l’arto inferiore sinistro sotto al ginocchio, hai scelto il sitting volley. Perché proprio questo sport?
“Dopo l’incidente, ho passato molti mesi post ricovero senza poter camminare e subìto anche interventi a distanza di tempo per problematiche da risolvere. Sentivo un profondo malessere a non potermi muovere. Ero profondamente affaticata sotto ogni punto di vista e stare ferma per aspettare la guarigione dei tessuti, mi debilitava sempre di più. Per questo motivo mi sono rivolta al comitato paralimpico italiano della Regione Piemonte per conoscere quale sport potessi provare e quando hanno sentito che avevo giocato a pallavolo da piccola, non hanno esitato a propormi il sitting volley”.
Come hai scelto il ruolo da palleggiatrice?
“Ho sempre giocato come palleggiatrice, fin da quando ero piccola. Probabilmente perché ero molto alta rispetto alle mie coetanee e saltavo bene a rete. Per qualche anno ho giocato anche come centrale per volontà di un allenatore, ma personalmente non ero contenta e non mi divertivo come al palleggio”.

Il tuo soprannome è Cipi. Cosa significa e da cosa nasce?
“È un soprannome che deriva da una modificazione scherzosa di Franci”.
Quando si pensa alla pallavolo non si può non citare il celebre cartone “Mila e Shiro”. Lo seguivi da piccola?
“Sì, lo seguivo con passione, immedesimandomi nelle fatiche e sognando i salti che eseguivano le atlete”.
Hai qualche punto di riferimento nel tuo sport? Ti ispiri a Paola Egonu o hai altri idoli?
“Seguo con passione la Nazionale Italiana di Pallavolo già da alcuni anni e queste “ragazze terribili” mi piacciono ogni partita sempre di più. Sono capaci di gesti tecnici e atletici incredibili, scambiandosi sguardi e sorrisi; sono una vera squadra”.
Tu sei laureata in Fisioterapia con una tesi sul trattamento del paziente amputato di arto inferiore in fase preprotesica e hai successivamente iniziato a lavorare in ospedale in ambito neurologico. Quanto ti sono serviti il tuo lavoro e la tua esperienza per superare il periodo post incidente?
“Credo che le mie conoscenze e la mia esperienza abbiano avuto molti aspetti positivi, ma anche qualche effetto boomerang. Sicuramente intuire il mio stato di salute anche quando non mi veniva spiegato, mi ha permesso di tenere duro e non lasciarmi mai andare alla disperazione o sopraffare dal dolore. Parallelamente questa consapevolezza mi ha fatto vivere le preoccupazioni in maniera più intensa in alcuni momenti difficili e pericolosi. In tutto il periodo di ricovero ho avuto molto supporto da ogni collega in servizio, presso l’ospedale che mi ospitava in quanto sede del CdL in Fisioterapia di Torino. Mi occupavo allora dell’insegnamento Neurolesioni e Riabilitazione e quindi ho potuto ricevere il sostegno anche degli allievi.
La mia grande forza credo sia stata fin da subito la consapevolezza di dover elaborare il lutto per poter andare avanti ed accettare la nuova me (ci stiamo lavorando alternando periodi migliori e periodi più difficili)”.
Su Instagram posti una frase di Seneca: “Il maggior ostacolo alla vita è proprio l’attesa: fa dipendere tutto dal domani e, intanto, sciupa l’oggi. Tu vorresti organizzare quanto è nelle mani del destino, e ti lasci sfuggire ciò che è già nelle tue. A quale scopo? A cosa vorresti arrivare? Tutto quanto deve ancora venire incerto: vivi il tuo presente”. Seguono le tue parole verso il 2018, anno da te definito come statico, ma molto importante e di ricostruzione. Parlacene.
“Ho deciso di provare a vivere quel periodo affrontando giorno per giorno e a volte ora per ora, per non rischiare di attendere invano un periodo perfetto o anche solo migliore e rallentare la mia vita e la mia quotidianità fino a quel momento. Nella mia esperienza lavorativa ho spesso osservato pazienti non accettarsi o non accettare l’accaduto attendendo sempre qualcosa di diverso da quello che si verificava nel presente, alimentando e vivendo un senso di inadeguatezza pericoloso. Il mio obiettivo era iniziare la riabilitazione per rimettermi in piedi, ma ho dovuto aspettare 16 mesi per poter iniziare ad indossare una protesi per alcune ore al giorno. Se non avessi trovato qualcosa di speciale in ogni giornata, non avrei potuto ricostruirmi.
Inoltre non mi sarei mai aspettata una difficoltà così enorme nello svolgere le attività della vita quotidiana con una protesi e soprattutto i frequenti problemi cutanei che possono insorgere”.
Sei fisioterapista presso l’A.O. Ordine Mauriziano di Torino. Come concili allenamenti e lavoro?
“Per potermi allenare e riposare un po’ ho dovuto convertire il mio contratto di full time in part time verticale. Le mie compagne di nazionale vivono in tutta Italia e per poterci allenare dobbiamo viaggiare e stare lontane da casa (in questo momento sono sull’aereo di ritorno da Roma). Senza la collaborazione del servizio presso cui lavoro nella gestione delle mie assenze, raggiungere questo sogno non sarebbe stato possibile”.
Facendo parte del personale sanitario sei stata una delle prime ad essere vaccinata. Cosa vorresti dire a chi è ancora incerto sul da farsi?
“Ho ricevuto la prima dose ad una settimana dal v – day, a inizio gennaio. Credo nella scienza e credo che ognuno di noi debba civilmente partecipare attraverso il proprio agire al benessere della comunità. Lo sport di squadra mi ha sempre abituata a pensare agli altri, credo di averlo come indole. Questo è il momento di dimostrare gli uni agli altri che dandoci una mano, possiamo venirne fuori”.

Riesci a trovare del tempo da dedicare a te stessa? Hai degli hobby, delle passioni?
“In questo momento a due settimane dalla partenza per Tokyo le parole “dedicare tempo a me stessa” mi sembrano così lontane e sconosciute. Purtroppo ora mi dedico solo al lavoro, cercando di tornare a casa il prima possibile per riposare e stare in famiglia, provando a dormire il giusto, facendo il mio stretching e mangiando bene. Nella vita comune adoro stare con le amiche, uscire e vedere posti nuovi, lontani e vicini. Amo stare nella natura, mi piacciono gli Impressionisti e leggere”.
Sei da sempre una grande appassionata di sport, hai qualche idolo o ti ispiri a qualcuno?
“Quando ero piccola e facevo sci club ammiravo tantissimo Alberto Tomba. Ora amo profondamente seguire l’atletica quando ci sono le competizioni. Mi sembra pazzesco come un corpo umano possa rispondere a livelli altissimi a stimoli specifici. Il movimento mi affascina da sempre”.
Determinazione e spirito di squadra
Collabori con Art4sport, la onlus di Bebe Vio. Parlaci di questo progetto. Conosci personalmente la schermitrice azzurra?
“Ho avuto la fortuna di entrare in contatto con Teresa, la mamma di Bebe che è il presidente di Art4sport e successivamente con Bebe ed i ragazzi del team. Ho trovato persone con cui condividere i valori in cui credo. Ho conosciuto personalmente Bebe con cui ho partecipato al progetto Fly2tokyo e sono estremamente grata di ogni cosa che ho potuto migliorare di me, confrontandomi con professionisti e conoscendo anche altri atleti in altre discipline come il nuoto e l’atletica. Il 6 agosto uscirà su RaiPlay “i Fantastici”, serie che racconta il percorso sportivo dell’art4sport team nella scommessa di qualificarsi per le Paralimpiadi di Tokyo 2020”.
Attualmente giochi nella DiaSorin Fenera Chieri ’76. Com’è il rapporto con le compagne di squadra, con l’allenatore/allenatrice?
“La mia società è composta a livello dirigenziale, come staff e come atlete ed atleti, da persone che amano tutto lo sport come me e mettono in pratica lo spirito di lealtà, etica e correttezza. Mi è sembrato da subito di entrare a far parte di una famiglia”.
Quando ti ritrovi con la nazionale, andate in qualche ritiro? Dove vi vedete, allenate e come vi organizzate?
“In questi tre anni abbondanti abbiamo partecipato ad un collegiale dal giovedì alla domenica una settimana sì ed una no con l’interruzione per Covid. I ritiri in questo periodo sono spesso organizzati nei centri Coni, i quali ci permettono di stare protette in una bolla, previo tampone. Nella giornata vengono fatti due allenamenti e spesso anche una parte fisica al mattino di allenamento della forza. Prima del secondo allenamento vengono eseguiti i trattamenti fisioterapici”.
Nel gruppo azzurro ci sono altre storie che ti hanno colpito particolarmente?
“Ammiro profondamente ogni mia compagna. Ogni storia è a sé ed ognuna di loro mi ha ispirata e mi ha insegnato qualcosa. Inoltre, da brava fisioterapista, traggo insegnamento dall’osservare le loro capacità e le strategie di problem solving per fare ogni gesto”.

Il fisioterapista della delegazione azzurra è Mattia Pastorelli. Chi sono i tuoi “antagonisti” nella nazionale: le compagne di squadra o il fisioterapista?
“Nella nostra squadra non ci sono antagonisti. Sembra una frase fatta, ma chiunque metta un piede in palestra comprende immediatamente lo spirito e la capacità di tutte di supportare le altre nel momento della difficoltà. Mattia è un ottimo collega, valido supporto ed è ormai diventato un amico. Sono anche orgogliosa nell’aver conosciuto un collega così giovane, così appassionato e così competente di quello che fa”.
Nel 2019, insieme alla nazionale azzurra, sei diventata vice campionessa europea. Parlaci di quell’esperienza.
“Per me si è trattato dell’esordio internazionale con una posta in gioco molto alta, la qualifica per Tokyo. Ho vissuto un susseguirsi di emozioni grandissime. Ho amato conoscere persone di altre nazionalità e vedere che ogni atleta, con difficoltà diverse, trovava le sue strategie per compensare i deficit o le difficoltà”.
Qual è stata la partita più emozionante della tua carriera?
“La partita più emozionante è stata la semifinale dell’europeo contro la Germania valida per qualificarci per Tokyo”.
La vittoria che reputi più importante?
“La vittoria più importante è stata la prima partita dell’Europeo contro l’Ucraina. Ci ha permesso di acquisire fiducia nel gruppo e nel valore di ogni giocatrice. Era una partita che preparavamo da tutta la stagione”.
E la sconfitta peggiore?
“Per ora devo dire che abbiamo perso poche partite, anche perché ci presentiamo a Tokyo con due anni di stop dalle competizioni internazionali”.
Dal tuo profilo Instagram si direbbe che sei una buongustaia. Che rapporto hai con il cibo?
“Il cibo per me è un simbolo di cura e convivialità. Amo molto la cucina tipica di ogni regione d’Italia, attraverso cui scopro usanze e territorio. Amo mangiare di qualità con attenzione al km 0”.
Sempre dal tuo profilo social, abbiamo notato un post tra le forme di parmigiano. Raccontaci di quella gita.
“Ci siamo recate a far visita alla struttura, in occasione di un ritiro congiunto con la Nazionale tedesca. È stata una bellissima occasione per conoscere la lavorazione del parmigiano, che adoro e per passare un pomeriggio con le mie compagne a far conoscere le bontà italiane alle tedesche tra un match e l’altro”.
A breve sarai a Tokyo con la nazionale azzurra di sitting volley. Emozioni, ansie.
“Sto provando un uragano di emozioni. Penso che abbiamo lavorato con impegno dedizione e sacrificio per due anni e parallelamente sono un po’ in tensione ad andare lontano da casa per così tanto tempo. Purtroppo ci accingiamo a vivere questa emozione in epoca Covid e quindi le paure e lo stress vissuti, sono ad altissimo livello. Non ci si può permettere distrazioni e si sacrificano gli amici e la famiglia nel tempo libero”.
Come ti sei preparata per questi giochi?
“Ho lavorato molto sia sulla mente che sul corpo. Credo di aver fatto tanto in questi tre anni. Sono tornata a svolgere la mia professione con ancora qualche difficoltà, ma tenendo duro ogni giorno, settimana dopo settimana, faccio piccolissime cose che mi permettono di riprendermi piccole parti di me.
Parallelamente mi sono allenata a casa cercando di andare ad alleggerire le tensioni quando mandavo in sovraccarico le zone di compenso. Cerco ogni giorno indipendentemente dal lavoro di rinforzo, di operare sulla mia elasticità muscolare, sulla postura, sull’allineamento, sul riposo, sull’alimentazione e idratazione”.
Quanto ha inficiato la pandemia sulla tua preparazione atletica e sul lavoro di squadra?
“Purtroppo ho interrotto la frequenza della palestra in cui mi alleno da anni per timore del contagio e ho convertito il salotto in una palestra. Inoltre abbiamo interrotto per otto mesi i ritiri, costrette ad allenarci su zoom a distanza, ogni giorno”.

Quali sono, secondo te, i tuoi punti di forza e gli aspetti su cui, invece credi di poter migliorare?
“Sono molto determinata, so destinare tutte le mie energie in un progetto o in una passione. Sono testarda e penso di essere caratterialmente molto forte. Penso che la mia più grande virtù sia la capacità di fare squadra. Purtroppo sono estremamente permalosa, anche se ci sto lavorando su, con alti e bassi e spesso sono troppo severa con me stessa”.
Nel futuro dove ti vedi?
“Nel futuro mi vedo una professionista che svolge con impegno il suo lavoro e che si gode il tempo libero con la famiglia, gli amici, in mezzo alla natura. Sono consapevole che vivere cercando di compensare una mancanza come la mia è molto complesso, che ci sono alti e bassi, battute d’arresto e cadute, ma splendide scoperte e vittorie che sembrano impossibili.
Ho la consapevolezza che devo sempre più imparare a rispettare ciò che mi dice il mio corpo e non solo andare avanti con forza di volontà. Ogni tanto è necessario fermarsi e dire non riesco, per ripartire.
Penso che qualcuno non credesse che io potessi tornare a fare il mio lavoro in ospedale; forse ogni tanto ho temuto anche io. Ma devo dire che ad oggi, seppur con accorgimenti e modalità a volte alternative, ho realizzato un mio obiettivo e spero ancora di migliorare. Mi accorgo che mese dopo mese, con molta lentezza, ma molta costanza nell’impegno, ho dei piccoli miglioramenti che mattoncino su mattoncino, fanno la differenza, senza fretta e senza sosta.
Ho avuto paura di non essere in grado di prendere in carico il “dolore” altrui, perché purtroppo il mio era troppo grande. A lungo ho avuto paura di ricominciare a fare la fisioterapista perché non avevo spazio per gli altri, energia, risorse.
Ho imparato a credere moltissimo nell’educazione terapeutica per ottenere un risultato, uscendo dal concetto di “ciclo da 10 sedute di…” e abbracciando la comprensione del lavorare su mente e corpo, cercando di costruire un nuovo allineamento corporeo per trovare il mio schema, per muovermi nello spazio.
Mi vedo nel futuro una persona pronta a cambiare, sperando di evolvere ed accettare le difficoltà e le gioia della vita”.