Per il Sermig lo sport non rappresenta solo un momento di svago, un passatempo, ma un modo per crescere, fare gruppo, acquisendo valori essenziali per la vita di tutti i giorni. È questa in sintesi la “carta dei valori” sul quale si fonda il settore sportivo (e non solo) del Servizio missionario giovani fondato 57 anni fa a Torino da Ernesto Olivero.
L’idea di creare il PalaSermig, nasce con l’intento di permettere a tutti i bambini e ragazzi di fare sport, creando maggiormente un momento di condivisione per tutti, anche e soprattutto per quelle famiglie meno agiate. Un progetto sportivo e non solo che si estende oltreoceano, dato che anche in Brasile è stata creata una palestra a cielo aperto, mentre in Giordania l’obiettivo principale è quello di fondare un Villaggio dell’incontro.
Ci ha spiegato questo e molto altro Elena Canalis, responsabile del progetto PalaSermig, il nuovo palazzetto dello sport costruito nel cuore del quartiere Aurora (in Via Carmagnola 23 a Torino) che verrà inaugurato il prossimo 12 novembre.
Intervista a Elena Canalis
Mi parli di come è nato il Sermig e del suo fondatore Ernesto Olivero.
“Insieme alla moglie Maria e ad un gruppo di amici, avevano nel cuore l’idea di cancellare la fame nel mondo. Dal 1964, anno in cui è stato fondato il Sermig, abbiamo lavorato a supporto dei progetti di sviluppo e degli aiuti nelle zone d’emergenza, fino a quando nel 1983 è stata fondata la nostra prima casa, ovvero l’Arsenale Militare di Torino.
Successivamente Ernesto Olivero ha dato vita ad una fraternità di persone che vivono nel mondo: sposati, single, ma anche tutti coloro i quali hanno fatto una scelta di vita vocazionale e che quindi hanno deciso di vivere negli Arsenali come monaci e monache. Negli ultimi tempi abbiamo anche avuto l’onore di avere alcuni ordinati sacerdoti che fanno parte della nostra fraternità”.
In che cosa consiste il progetto?
“Abbiamo voluto intitolare questa iniziativa ‘Per chi non ha sport’, perché come Sermig tanti anni fa abbiamo iniziato ad essere un po’ una casa, una famiglia, grazie alla nostra sede, ovvero l’Arsenale della Pace, per i bambini e le famiglie di questo quartiere che avevano bisogno di un posto dove fare doposcuola e attività con noi.
Questa cosa è cresciuta e nel tempo abbiamo visto che quando non erano con noi, i bambini scappavano a giocare a pallone nei giardinetti che spesso però erano frequentati da persone non raccomandabili, e visto che i nostri bambini ci stavano a cuore, per non lasciarli soli, abbiamo iniziato ad accompagnarli, a giocare con loro per tutelarli.
Poi è nata l’idea di fare dei tornei e successivamente abbiamo aperto la società sportiva ASD Sermig e nell’arco di dieci anni abbiamo formato 120 atleti che senza di noi non potrebbero permettersi di pagare una tariffa sostanziosa per poter fare sport e che altrimenti sarebbero per strada, in un quartiere poco raccomandabile.
Per migliorarci ulteriormente abbiamo aderito ad un bando del Comune di Torino che assegnava questo spazio, proponendo di farlo diventare un palazzetto dello sport che è diventata la nostra nuova casa: il PalaSermig”.

Quando verrà inaugurato il PalaSermig?
“Il 12 novembre 2021”.
Una società sportiva di riferimento già esiste da tempo: mi parli dell’Associazione Sportiva Dilettantistica nata nel 2011
“È la società che abbiamo creato per rendere possibile tutto questo, visto che necessario avere un ente che giuridicamente parlando fosse un’associazione sportiva dilettantistica. Nell’ambito della famiglia del Sermig che nasce senza fini di lucro, come tutto lo spirito di questo progetto, ci sono alcune associazioni che si occupano dei servizi di accoglienza, educativi e poi ci sono enti come questo per poter fare sport grazie al quale ci si può iscrivere ad un campionato, fare dei tornei e allo stesso tempo possono tutelare assicurativamente parlando i nostri atleti”.
I corsi sono gratuiti? Chi vi può accedere?
“Il palazzetto è aperto a tutti e data l’eccellenza e la qualità dell’impianto ci piacerebbe che venissero anche persone provenienti da altre zone della città. Abbiamo una tariffa di iscrizione, ma proponiamo degli sconti a tutti quelli che non se lo possono permettere. Alcuni genitori dei nostri ragazzi lavorano e quindi pagano l’iscrizione, aiutandoci a sostenere le spese; per tutti gli altri ci affidiamo a chi sostiene il Sermig e i suoi progetti, adottando un bambino delle nostre società sportive attraverso una donazione in modo tale da permettergli di fare un anno di sport con noi”.
Avete una fascia d’età prestabilita che vi si può iscrivere?
“Nel calcio a cinque abbiamo sei categorie: i primi calci, i pulcini, gli under 13, 15, 17 e la prima squadra che è la nostra punta di diamante che gioca nel massimo campionato a livello regionale, ovvero la C1.
Quest’anno poi, grazie a questo nuovo palazzetto, abbiamo creato due squadre di pallavolo rappresentate da una trentina di bambine e ragazzine. La prima squadra sarà composta da allieve di quarta/quinta elementare, mentre le alunne di prima/seconda media faranno parte della seconda squadra”.
Quali sport si potranno praticare?
“L’impianto del PalaSermig è insonorizzato e acustico ed è omologato per il calcio a cinque, la pallavolo e il basket. Allo stesso tempo è stato pensato per ospitare la danza, manifestazioni sportive, ma anche culturali che possano essere in linea con le attività per i giovani che propone il Sermig. Non ci dispiacerebbe poter accogliere anche una o più associazioni che lavorino con i ragazzi diversamente abili”.

Lo sport per chi non ha sport
Un progetto che si estende anche in altri due paesi: la Giordania e il Brasile. Perché avete scelto questo due nazioni?
“Ci sono venute un po’ incontro, come tutte le cose; non ci sediamo mai a tavolino per scegliere un lavoro in più da fare, ma è una porta che viene bussata e l’imprevisto che viene accolto. In Brasile noi siamo presenti già da decenni perché siamo nati come servizio missionario giovani, seguendo molteplici progetti di sviluppo nel Nord Est, a San Paolo, intorno alle città, ma anche nella campagna.
Quando il governo di San Paolo ha cercato un interlocutore a cui affidare la gestione di questa grande casa, ossia la casa dei migranti dove venivano tenute in quarantena le persone all’inizio del ‘900 e che all’epoca ospitava alcune persone che erano in strada, hanno chiesto a noi perché già ci conoscevamo e allo stesso tempo perché siamo stati un po’ indirizzati dal nostro grandissimo amico, Don Luciano Mendes de Almeida che era Vescovo in Brasile.
Anche in Giordania ci conoscevano da tempo e la diocesi di Amman, insieme al suo Vescovo, ci ha chiesto di fare questa iniziativa che poi è diventata una scuola che da diversi anni accoglie fino a 255 bambini e ragazzi diversamente abili”.
In Giordania il progetto ha lo scopo di creare un ‘Villaggio dell’incontro’. Di che cosa si tratta?
“La Giordania rappresenta un po’ un crocevia di nazioni, etnie e culture secolari e millenarie che tra loro a volte si guardano anche con sospetto e diffidenza una dall’altra. Per cui noi, partendo dai ragazzi e dai bambini disabili, cerchiamo di creare quell’incontro sulle difficoltà che accomunano tutti, poiché una mamma cristiana, musulmana, ebrea che ha un bambino down, tetraplegico, ha lo stesso problema e sulla difficoltà del proprio figlio, sul desiderio di poterlo amare, nonostante l’handicap, ci si trova, ci si incontra e quindi questo progetto è reso possibile proprio a partire dagli ultimi”.

In Brasile invece, puntate a creare una palestra a cielo aperto?
“Sì, abbiamo accolto 1200 uomini che vivono in strada e con noi trascorrono la sera, la notte e la colazione, mentre durante la giornata hanno gli appuntamenti con i nostri servizi sociali, con alcuni corsi di professionalizzazione, di alfabetizzazione, in modo tale da creare un percorso con loro. In questa grande casa ci piace l’idea di una palestra a cielo aperto dove possano allenarsi, sfogarsi e divagarsi”.
Il vostro motto, slogan è: “Per chi non ha sport”. A chi vi rivolgete principalmente?
“A coloro che per condizioni personali, sociali, economiche non riescono autonomamente a fare sport. Lo sport per chi è benestante a volte è ridotto ad un benessere fisico, che è molto importante, però il valore dello sport vuole creare anche una cultura di pace, di rispetto reciproco, di dialogo, di crescita della consapevolezza di quello che si è capaci di fare, oltre che disinvestimento di tempo perso altrove avendo una giornata occupata a stare insieme ai propri coetanei. Un linguaggio importante che per noi che abbiamo da sempre nel cuore i giovani, si aggiunge a quelli che usiamo per stargli vicino”.
Pensa che lo sport sia un mezzo per veicolare dei messaggi? Se sì, quali?
“La capacità di concentrazione non è facile da ottenere, soprattutto a scuola; grazie allo sport è più facile, poiché basti pensare agli istanti che precedono un calcio di rigore in cui il ragazzo impara da una parte a fare un qualcosa e dall’altra acquisisce una competenza che non rimane segregata nel contesto di un gioco, ma che come un effetto domino si estende a tutta la quotidianità del bambino.
Inoltre per stare insieme bisogna rispettarsi; per vincere, tutti devono giocare, passandosi la palla. Nel calcio a cinque ad esempio, che è l’attività con la quale abbiamo iniziato, deve prevalere il gioco di squadra perché viene coinvolto anche il portiere; se uno dei cinque si ferma, la partita viene persa, e per questo motivo non bisogna mai perdere la concentrazione, dato che nell’arco di poco tempo si può passare dall’essere vincitori, all’essere perdenti. Sono tutte caratteristiche intrinseche al gioco che arrivano al ragazzo, piacciono all’atleta, ma che gli permette di acquisire molteplici competenze”.