Un palmares di tutto rispetto con ben 16 titoli nazionali: 9 assoluti, 1 universitario, 3 Under 23, 1 Under 20 e 2 Under 18. Questi in sintesi i numeri del marciatore Federico Tontodonati, che lo scorso 5 agosto abbiamo seguito nella 20km, gara in cui ha trionfato il suo collega, nonché amico, Massimo Stano.
L’atleta piemontese, nativo di Torino, da sempre appassionato al mondo della corsa, inizia ad approcciarsi allo sport per gioco, insieme al suo papà. Da quel giorno però è iniziata una vera e propria carriera ricca di successi.
Quella a Tokyo 2020 è stata un’esperienza particolare, diversa e speciale rispetto alle gare passate e malgrado il 44esimo piazzamento, la parola d’ordine di Federico è resilienza.
Gli inizi e l’Olimpiade
Possiamo dire che lo sport ce l’hai nel sangue visto che tuo papà è stato allenatore di pallanuoto, canoa e canottaggio e ti ha fatto praticare tutte queste discipline. Cosa si prova ad essere allenati dal proprio genitore? Era ed è tutt’ora severo anche se non ti allena più?
“In realtà abbiamo iniziato a fare sport insieme per gioco, solo dopo è diventato il mio allenatore.Nella pallanuoto aveva collaborato con l’allenatore che ci seguiva per l’allenamento in palestra”.
Nel 2004 sei approdato sui campi d’atletica con il CUS Torino. Perché hai deciso di cambiare completamente sport?
“Avevo la passione per la corsa e avevo deciso di provare a praticare uno sport individuale, quindi chiesi a mio padre di poter provare con l’atletica”.
Inizialmente ti sei cimentato nel mezzofondo, per poi passare alla marcia. Un ulteriore cambio di rotta.
“Correvo più degli altri ragazzini, ma ero anche quello più lento. Poi un giorno l’allenatrice chiese chi volesse provare la marcia per coprire una gara: era più lunga delle gare di corsa e ci ho provato. Quel giorno sono andato comunque piano…”.
Tokyo 2020 è stata la tua prima partecipazione ai giochi estivi. Parlaci di questa esperienza e delle emozioni che hai provato.
“Speravo in una prestazione migliore, ma il clima della gara è stato diverso da ogni competizione a cui abbia partecipato in passato. La tensione tra gli atleti era diversa: particolare, palpabile, ma allo stesso tempo positiva”.
Descrivici la tua giornata tipo al villaggio olimpico.
“Ci sono stato circa ventiquattr’ore, ed è stato emozionante! Per fortuna ho avuto anche il tempo di andare a vedere lo stadio. Noi della marcia e gli atleti della maratona siamo stati a Sapporo per la gara e le giornate erano divise tra i pasti e gli allenamenti. Tra gli atleti ci sono stati pochissimi scambi perché c’era il timore del Covid, ma per fortuna non ci sono stati casi”.

Ti sei classificato 44esimo nella 20 km a 10 minuti e 14 secondi dal primo. Potevi fare di più oppure è un punto di partenza dal quale ripartire?
“Credo si possa ammettere che si sarebbe potuto fare meglio. Allo stesso modo credo che sia anche un punto di ripartenza”.
Cos’hai provato una volta giunto al traguardo quando hai scoperto che il tuo compagno azzurro Massimo Stano aveva vinto l’oro olimpico? Vi aspettavate potesse arrivare un risultato del genere?
“Ero proprio dietro di lui quando ha vinto e mi è venuto spontaneo tifarlo nel momento in cui mi ha doppiato. Ero emozionato e sono felice per lui e per il suo risultato”.
Che rapporto c’è tra te e Stano?
“C’è un buon rapporto, tante volte ci siamo allenati e testati insieme”.
La spedizione olimpica azzurra a Tokyo 2020 è senza dubbio da ricordare come quella con il maggior numero di medaglie vinte; per la marcia due medaglie d’oro sia nella 20 km maschile che in quella femminile grazie ad Antonella Palmisano. C’è un segreto particolare dietro a questi successi?
“Penso che non ci siano segreti, solo un modo funzionale di allenarsi e vivere per chi ha ottenuto i migliori risultati”.
Quest’anno hai realizzato la tua miglior performance in carriera sui 20 km (1h20’12’’). Con questo tempo avresti potuto conquistare l’oro? (anche se Stano ha ottenuto 1h17’45” che è anche il record nazionale italiano realizzato nel 2019).
“Se avessi ripetuto quel tempo avrei vinto, ma era improbabile con quel clima. Diciamo poi che ogni gara è a sé e anche se nell’atletica (e nello sport in generale) si guarda spesso a misure cronometriche, credo che rimangano relative in determinate circostanze”.
Una vita in marcia
Detieni 12 titoli nazionali (6 assoluti, 1 universitario e 5 giovanili) e sei stato finalista sui 20 km di marcia ai Mondiali di Mosca 2013 e Pechino 2015. Qual è stata la vittoria più importante e quella più sofferta?
“La vittoria più importante è stata quella degli ultimi campionati italiani della 20km a Grottaglie, la più sofferta quella della 50km ad Andernach nel 2015”.
Quali sono, secondo te, i tuoi punti di forza e gli aspetti su cui, invece, credi di poter migliorare?
“Credo che un punto di forza possa essere la resilienza. Un aspetto migliorabile potrebbe essere invece il dare meno peso, meno attenzione, alle voci di poco conto che in situazioni di tensione tendono a farsi vive”.

Qual è l’allenamento specifico di un marciatore? Come ci si prepara differentemente ad una 20 km o ad una 50 km?
“L’allenamento specifico è la resistenza a determinati ritmi, o regimi metabolici. La differenza maggiore tra 20 e 50km è principalmente l’adattamento alla distanza; poi si può parlare di velocità di gara”.
Sei stato allenato da Sandro Damilano, uno dei tecnici più titolati al mondo: detentore di 61 medaglie olimpiche, mondiali e continentali (49 individuali e 12 a squadre) come responsabile del settore marcia per la FIDAL, mentre come allenatore personale ha conquistato 80 medaglie (48 con atleti italiani e 32 con atleti cinesi). I suoi atleti italiani hanno indossato per 228 volte la maglia azzurra e hanno vinto 56 campionati nazionali. Come sono stati gli anni sotto la sua guida? La gara più importante che avete vinto insieme?
“Gli anni sotto la sua guida sono stati molto formativi, soprattutto per la possibilità del confronto con l’ambiente sportivo cinese. La gara più importante vinta insieme è stato il campionato italiano della 50km del 2011”.
Qual è il tuo ruolo e grado nell’Aeronautica Militare e cosa significa per te appartenere a questo corpo delle forze armate.
“Appartengo al centro sportivo con il grado di Aviere Capo. Far parte delle Forze Armate, per me, è un po’ come essere tutti i giorni nel retro scena della squadra nazionale: la maglia è da conquistare, ma essendo nel pubblico mi comporto con la stessa responsabilità di quando la vesto”.
Quanto temi il giudizio degli altri e quanto sei in grado di portare avanti il tuo punto di vista?
“Diciamo, per storico, che tendo a essere coerente, anche a costo di qualche scontro”.
Per molti atleti essere seguiti da un mental coach rappresenta un grande sostegno. Sei seguito da qualcuno? Che effetti produce una mente offuscata e quali invece una mente calma e serena?
“Credo che un mental coach possa essere utile, ma non indispensabile. È difficile pensare schemi così dicotomici per quanto riguarda la mente”.

Nel tempo libero ti piace leggere, in particolar modo le opere di Tolkien. Quale romanzo preferisci?
“Sì mi piace leggere Tolkien, ma quella che hai letto tu è stata un’esagerazione dovuta a un’incomprensione. In ogni caso, delle sue opere, preferisco Lo Hobbit”.
Della saga “Il signore degli anelli” quale hai amato di più? I film sono all’altezza dei romanzi?
“No, per me non c’è partita, i libri sono nettamente migliori. Dei tre ho preferito il primo libro”.
Film preferito in generale?
“Mediterraneo, di Salvatores”.
Il doping nel mondo dell’atletica è da sempre un pericolo dietro l’angolo contro il quale non bisogna mai abbassare la guardia. Nel mondo giovanile la tentazione di emergere a volte può giocare brutti scherzi, un consiglio da dare ai giovani?
“A parte i soliti consigli, posso sottolineare il fatto che sia io che altri, abbiamo sconfitto più volte atleti risultati poi dopati. La raccomandazione è che non si lascino imbrogliare da pubblicità piuttosto banali”.
Parigi 2024 è un sogno, un obiettivo da raggiungere oppure è meglio concentrarsi sui prossimi impegni?
“C’è differenza tra il concentrarsi sui prossimi impegni e il provare a raggiungere la gara di Parigi? Il difficile è riuscirci, non tanto tracciare il percorso”.