Per Elisabetta Mijno, nata a Moncalieri, in provincia di Torino il 10 gennaio 1986, Tokyo 2020 sarà la quarta Paralimpiade, dopo Pechino 2008, Londra 2012 in cui vinse la medaglia d’argento e Rio 2016, dove si piazzò al terzo posto nella disciplina del tiro con l’arco.
Anche lei, come Francesca Fossato, alterna gli allenamenti al lavoro in ospedale, dal momento che è un chirurgo ortopedico presso il CTO di Torino. Ma per questa speciale occasione abbandonerà volentieri i ferri del mestiere, come ad esempio bisturi e forbici sterili, per sostituirli con arco e frecce.
All’età di cinque anni subisce un incidente stradale che la costringe a rimanere su una sedia a rotelle, ma l’arciera piemontese ha avuto fin da subito le idee chiare: portare avanti la passione per lo sport e per la medicina.
Il suo motto? “Amate un lavoro, amate uno sport, amate una persona, amate la vita“.
Talento e dedizione
I successi ottenuti alle Paralimpiadi non sono gli unici perché Elisabetta detiene sei medaglie iridate, tra cui tre europei e l’oro a squadre vinto nel 2017.
Lo sport però non è la sua unica passione, poiché nonostante gli allenamenti, l’azzurra si è laureata nel 2014 in medicina: “Quando ho iniziato a studiare mi è entrata subito in testa la chirurgia della mano, anche se all’inizio era solo un’idea. Se la vogliamo vedere in modo più romantico, invece, da piccola avrei voluto aggiustare le mani di mia nonna Carla. Per me era sempre stata una figura molto importante e aveva una brutta artrite reumatoide deformante”, ha dichiarato in un’intervista a La Repubblica.
La giornata di Elisabetta risulta pertanto molto frenetica: “La sveglia suona alle 5.45, attacco in sala operatoria alle 7.30, lavoro fino al pomeriggio e quando esco vado in palestra a tirar frecce. Torno a casa non prima delle 21, in tempo per studiare ancora un po’ e crollare dal sonno”. Ma nonostante ciò riesce ancora a dedicarsi del tempo, nel quale ama viaggiare, fotografare e leggere. Per di più l’atleta piemontese fa parte del gruppo sportivo delle Fiamme Azzurre ed è stata nominata Ambasciatrice dello sport paralimpico: “Essere Ambasciatrice è una responsabilità, perché significa far conoscere lo sport e i suoi valori, ma è questo il nostro compito: far vedere cos’è veramente lo sport, farlo diventare qualcosa in più e farlo crescere, rifiutando, allo stesso tempo, personalismi e individualismi”.

Proiettata verso il futuro
Come per tutti gli atleti, lo stop forzato a causa della pandemia, non è stato un periodo semplice, maggiormente per Elisabetta che agli inizi del 2020 era riuscita ad ottenere due record del mondo, ma l’azzurra non si è data per vinta e ha continuato ad allenarsi costantemente nell’impianto di Rivoli degli Arcieri delle Alpi: un luogo immerso nel verde, tranquillo, fuori dal caos cittadino, accessibile anche per chi è in carrozzina o ha qualche difficoltà.
La preparazione e l’allenamento di Elisabetta non sono dediti esclusivamente allo sport, ma anche al lavoro, perché la sua figura professionale non è ancora formata al cento per cento, per questo motivo ogni giorno studia e cerca tutte le soluzioni per migliorarsi.
Il prossimo obiettivo sarà sicuramente quello di portare a casa una vittoria alle Paralimpiadi, vista anche l’esperienza passata dell’azzurra e le due medaglie conquistate. Ma Elisabetta è una donna e un’atleta sempre proiettata in avanti: “Più che a Tokyo 2020, io penso già a Los Angeles 2028; però mi preoccupa il fatto che in mezzo ci sia anche Parigi 2024. Tre olimpiadi sono tante. Però non fare Los Angeles sarebbe un peccato; magari potrei candidarmi da chirurgo”, commenta simpaticamente.