Una ricerca tutta torinese quella che ha scoperto come i vaccini anti Covid-19 abbiano una risposta immunitaria post-vaccinazione superiore al 70% anche a 8 mesi di distanza dalla vaccinazione.
L’indagine, basandosi sullo studio sierologico “Ricerca di IgG specifiche per SARS-CoV-2”, è stata svolta dall’A.O.U. Città della Salute e della Scienza di Torino e dall’Università degli Studi di Torino e ha coinvolto 10 mila dipendenti dei due enti.
Lo studio è stato progettato dall’A.O.U. Città della Salute e della Scienza di Torino a partire dal mese di aprile 2020 ed è stato successivamente esteso ai dipendenti dell’Università degli Studi di Torino. Vi hanno preso parte volontariamente 10 mila persone e i risultati della prima fase sono stati pubblicati sulla rivista Viruses.
Lo studio sierologico post vaccinazione si è svolto in due parti
La prima fase, condotta tra maggio e agosto 2020, ha avuto l’obiettivo di stimare la proporzione di soggetti entrati in contatto con il virus SARS-CoV-2 durante la prima ondata pandemica. Tra i dipendenti sanitari la prevalenza di positivi al test è risultata pari al 7,6% mentre tra quelli di UniTo pari al 3,3%, un valore simile a quello stimato nella popolazione generale del Piemonte nell’indagine condotta dall’Istat a maggio 2020.
Questi risultati hanno documentato che i dipendenti del comparto sanità hanno avuto, almeno durante i primi mesi della pandemia, un rischio aumentato di contrarre l’infezione rispetto al resto della popolazione e hanno confermato l’importanza della precoce adozione di idonee misure preventive per il contenimento della diffusione dell’infezione, spesso asintomatica, tra gli operatori sanitari.
La seconda fase dello studio, condotta a maggio 2021, aveva come obiettivo principale la valutazione della risposta immunitaria alla vaccinazione anti-Covid, misurata attraverso la positività al test sierologico, e, su un sottocampione di 419 soggetti, anche attraverso indagini di immunità cellulare.
L’indagine ha evidenziato che la positività al test sierologico era presente nella quasi totalità dei soggetti vaccinati ovvero 99,8%.
Risposta immunitaria post vaccinazione anche a distanza di 8 mesi riscontrata su 7 persone su 10
In corrispondenza con la seconda fase dello studio, sono stati effettuati due specifici approfondimenti di indagine, condotti su un campione di 419 dipendenti sanitari selezionati casualmente tra i partecipanti alla seconda fase dello studio.
Il primo approfondimento è stato mirato a valutare la risposta immunitaria cellulare SARS-CoV-2 specifica, rilevata nel periodo tra luglio e ottobre 2021. È noto che la risposta immunitaria a un agente infettivo virale, oltre che attraverso la produzione di specifici anticorpi circolanti, avvenga attraverso l’attivazione di particolari cellule, i Linfociti T, e alcuni dati preliminari sembrano suggerire che la risposta immunitaria cellulare contro il SARS-CoV-2 sia di lunga durata. I primi risultati osservati nello Studio suggeriscono la persistenza di una risposta cellulare complessiva superiore al 70% a 8 mesi di distanza dalla vaccinazione.
Risposta al vaccino in base alla variabilità genetica: alcune varianti più frequenti in chi ha meno anticorpi
Il secondo approfondimento è stato, invece, finalizzato a valutare se la diversa risposta individuale al vaccino potesse essere messa anche in relazione alla variabilità genetica individuale.
I ricercati hanno spiegato che ogni individuo presenta, infatti, una variabilità in circa l’1% delle lettere del Dna, che lo fanno unico e differente dagli altri. Questa variabilità genetica spiega anche come la nostra risposta immunitaria abbia un’efficacia diversa. Di tutte le caratteristiche genetiche scritte nel genoma i ricercatori si sono concentrati su un gruppo di geni – HLA, Human Leucocyte Antigens – che consentono di costruire alcune molecole espresse sulle nostre cellule, comprese quelle del nostro sistema immunitario. Queste ultime hanno il compito di proteggerci dagli intrusi, attivando la risposta degli anticorpi contro i bersagli estranei. Quale sia il bersaglio, lo definiscono proprio le molecole HLA, e quindi la variabilità di queste molecole ci aiutano a capire la diversità che osserviamo nella popolazione in relazione alla quota di anticorpi prodotti contro il virus a seguito della vaccinazione.
L’approfondimento ha mostrato come alcune varianti siano più di frequenti in coloro che hanno dimostrato una più bassa produzione di anticorpi rispetto a coloro in grado di sviluppare una risposta anticorpale più consistente.