Per mesi non si é fatto altro che parlare del Ddl Zan, anche a Torino vi sono state manifestazioni dalle rivendicazioni opposte, il 5 giugno in Piazza Castello lo ricorderete, forse, vi era stata una distesa arcobaleno per dire sì al Ddl Zan, che per i sostenitori rappresentava un decreto importante contro la discriminazione e la violenza per l’identità di genere e l’orientamento sessuale. Il 26 giugno a Torino erano scesi in piazza, invece, i nemici della legge Zan che l’avevano definita ‘ pericolosissima’ in quanto, a loro dire, avrebbe messo in discussione la libertà di espressione, religiosa e di educazione.
Ora pare, invece, che il Ddl Zan non attiri più tante attenzioni, come dice il Prof Giuliano Cazzola, giusvalorista, ‘sembra essere uscito dai radar del dibattito politico’, ora, aggiungiamo noi, paiono tutti concentrati sul ‘green pass’ e sul diritto o meno violato alla propria libertà personale. La questione é comunque ancora molto calda sui social ed é per questo che abbiamo voluto chiedere il parere del Professore al riguardo, Che peso ha il Ddl Zan: assicura una maggiore tutela agli omotransessuali o inserisce nell’ordinamento una visione puramente ideologica? Eccovi le sue parole al riguardo:
Ddl Zan: le considerazioni del Prof Giuliano Cazzola
“Il ddl Zan sembra essere uscito dai radar del dibattito politico dopo aver imperversato per settimane. Devo dire grazie al Senato che anche questa volta ha dimostrato maggiore saggezza della Camera. Per fortuna che il bicameralismo paritario esiste ancora. E resterà anche in quel Parlamento ridotto ai minimi termini dal referendum. A mio avviso, il ddl Zan è un’impostura, un maledetto imbroglio. Col pretesto di assicurare una maggiore tutela agli omotransessuali tenta di insinuare (articoli 1, 4 e 7) nell’ordinamento giuridico una visione ideologica, priva di qualunque riscontro scientifico.
Il sesso – che è l’unico dato reale ed evidente – viene relegato ad un tratto di penna all’anagrafe, ad un adempimento burocratico che imprigionerebbe il corpo alla caratteristica degli organi genitali, passando sopra all’esistenza di differenze (visibili e intuitive) che da miliardi di anni distinguono in tutti gli esseri viventi il maschio dalla femmina. E sono le differenze che consentono di procreare. Da questo vincolo non si sfugge, nonostante tutti i surrogati e le diavolerie che una scienza, un po’ disumana e mercificata, ha inventato per sottrarre il concepimento alle leggi della Natura.
Che cosa c’entrano i diritti civili (spesso evocati a sproposito) con l’identità di genere? Esercitare un diritto significa poter dare espressione libera alle proprie attitudini sessuali in un quadro di tutele contro la violenza, la discriminazione, la repressione; significa poter dare a queste unioni un riconoscimento giuridico con i relativi diritti e doveri.
Vi sono opinioni che sostengono l’inutilità di sezionare per categoria i diritti di libertà, già ampiamente protetti in termini generali dalla Costituzione. Ad individuare delle categorie specifiche, con fattispecie di reati e di sanzioni rischia di limitare, non estendere il perimetro delle tutele per quelle categorie che non vengono ricomprese nell’elenco. In quell’Europa in cui si aggirava, nel XIX secolo, il fantasma del comunismo, oggi siamo chiamati a fare i conti con una nuova visione della biologia e dell’evoluzione, assolutamente priva di basi scientifiche.
Almeno Darwin aveva concepito le sue teorie, non conformi al libro della Genesi, osservando i fenomeni naturali delle Isole Galapagos; mentre William King aveva individuato il lungo processo evolutivo che in milioni di anni risaliva dall’Uomo di Neanderthal all’Homo sapiens (non abbiamo approfondito la questione del cosiddetto anello mancante), basando le sue teorie su dati reali come la forma degli oggetti e i disegni sulle pareti delle caverne.
Ma su che cosa si basa, invece, il concetto di gender? I suoi sostenitori rifiutano i concetti di dottrina e di teoria, ma come si deve definire un pensiero per cui L’identità sessuale di un individuo non viene stabilita dalla natura e dall’incontrovertibile dato biologico ma unicamente dalla soggettiva percezione di ciascuno che sarà libero di assegnarsi il genere percepito, “orientando” la propria sessualità secondo i propri istinti e le proprie mutevoli pulsioni.
È il genere – come emerge nei testi in cui si diffondono queste teorie – che stabilisce, in ultima analisi, l’identità sessuale di un individuo. Non si è uomini e donne perché nati con certe identità fisiche, ma lo si è solo se ci si riconosce come tali. Non ci sono maschi e femmine ma ci sono semplicemente uomini, liberi di assegnarsi autonomamente il genere che percepiscono al di là del loro sesso naturale. Le tradizionali categorie di maschi e femmine diventano così dei vecchi clichés, delle categorie mentali superate, inadatte a rappresentare la complessità sociale moderna che per questo vanno rimosse. La parola chiave degli ideologi del gender è “decostruire”, ossia, cancellare la natura, tentando di smantellare pezzo per pezzo, un sistema di pensiero considerato obsoleto e oramai fuori tempo.
Se l’orientamento sessuale viene difeso dalla legge, per quale motivo la teoria dell’identità di genere (ovvero «l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione») deve trovare posto, in modo arbitrario e truffaldino, nell’ordinamento giuridico alla stregua di un valore comune?
Determinando così una vistosa contraddizione: quanto viene percepito diventerebbe reale a norma di legge, mentre ciò che è platealmente reale (il sesso) si trasformerebbe in un’opinione, magari un po’ retrò e a rischio di essere ritenuta una prevaricazione. Peraltro, a pensarci bene, il fatto che la combriccola del ddl Zan sia disposta a resistere fino in fondo nella difesa degli articoli ‘’ideologici’’ significa che è questo per loro l’obiettivo più importante, alla faccia della lotta alla violenza e alle discriminazioni.