Un nome, una garanzia, perché Kiol in gaelico significa musica e fin da piccolo il ritmo scorreva nelle sue vene, visto che ci ha raccontato di essere stato affascinato dalla batteria dopo averla provata a suonare da un suo amico.
Da quel giorno non ha smesso di suonare e così è iniziata la carriera artistica di questo cantautore torinese, classe ’97, che ha già collaborato con grandi artisti del panorama internazionale come Joan Baez, Placebo, Natalie Imbruglia e tanti altri, girando l’Europa e calcando palcoscenici di un certo prestigio, fra cui molti che porta ancora nel cuore come l’Olympia di Parigi, 02 Academy a Londra, Théâtre Antique di Vienne, senza dimenticare lo Spazio 211 di Torino.
Al Torino Music Forum, Kiol, insieme alla sua band, ci farà ascoltare l’album ‘Techno Drug Store’ e l’inedito ‘Over The Weather’ che uscirà a dicembre.
Quattro chiacchiere con Kiol
Quando hai iniziato a cantare e scrivere?
“La mia passione per la musica è nata quando ero davvero piccolo. Avevo un amico un po’ più grande di me che suonava la batteria. Un giorno andai a casa sua e me la fece provare. Il giorno dopo costruivo sul letto di camera mia una batteria usando le custodie delle videocassette su cui sbattevo con forza dei mestoli di legno! Rotte tutte le cassette, mio padre fu costretto a prendermi una batteria muta. Da lì iniziò tutto; le prime band, i primi contest, le prime registrazioni, imparare a suonare altri strumenti, a cantare e infine a scrivere le mie canzoni.
Vitale è stata la mia esperienza in Irlanda, dove per la prima volta ho cantato le mie canzoni in inglese a ragazzi madrelingua conosciuti sul posto. Loro mi hanno dato i primi feedback positivi, infondendomi il coraggio per intraprendere la strada del cantautore e così, dopo avermi chiamato Kiol (in antico gaelico “ceol” pronunciato Kiol significa musica), sono tornato in Italia, ho pubblicato le mie prime canzoni e ho dato vita al mio progetto musicale”.
Oltre ad essere un cantautore sei anche un polistrumentista, quali e quanti strumenti suoni?
“Come ho detto prima ho iniziato a suonare la batteria e questo mi ha permesso di avere una solida conoscenza del ritmo che facilmente ho applicato a chitarra, basso e piano. Diciamo che è sempre stato semplice imparare a suonicchiare gli strumenti, con un po’ di costanza riesco sempre ad ottenere risultati soddisfacenti dopo poche settimane. Saper suonare più strumenti mi ha permesso di arrangiare i miei pezzi, una delle attività che più mi piace del fare musica; scritta la canzone chitarra e voce, apro il mio computer e inizio a registrare ogni arrangiamento che mi viene in testa, passando da uno strumento all’altro e andando avanti così per giorni”.

Qual è lo strumento che prediligi?
“Ad ora lo strumento che suono di più è la chitarra acustica che uso per accompagnarmi quando mi approccio a una nuova canzone; ma la batteria è sempre lo strumento che più mi diverte suonare”.
Qual è stata la tua prima composizione?
“Le prime composizioni, se così si possono chiamare, risalgono alle prime band, quando avevo 13/16 anni ed ero ancora un batterista. Mentre tentavamo di scrivere una canzone insieme, spesso mi occupavo del testo e col tempo, man mano che imparavo a suonare la chitarra, anche degli accordi. A 16 anni poi ho iniziato a capirne un po’ di più di musica e grazie all’influenza di Ben Howard, Angus & Julia Stone, Paolo Nutini e ovviamente a Garage Band, ho scritto la prima serie di canzoni tra cui ‘Easy Call’ del mio primo EP e altre che sono ancora pubblicate sotto il nome ‘Rooster’ su Soundcloud, reperti storici ormai”.
Hai sempre cantato in inglese?
“Sì, sempre scritto e cantato in inglese. Ogni tanto qualche cosa in italiano l’ho scritta, ma non mi è mai piaciuta abbastanza per immaginare un progetto in italiano o anche solo per pubblicarla. Back in the days, quando ero ancora alle prime armi con Garage Band, mi dilettavo a scrivere pezzi rap con un mio amico e a pubblicarli su Youtube… Credo ci siano ancora, ma questa volta non vi dirò il nome sotto il quale le pubblicavo, eheh”.
A 24 anni hai già girato l’Europa esibendoti in oltre 200 concerti e supportando artisti tra cui Jack Savoretti, Joan Baez, Sons Of The East, Patti Smith, Placebo, Natalie Imbruglia, Tom Speight e tanti altri. Che emozioni hai provato?
“Ho avuto la fortuna di essere opening act di artisti molto importanti e grazie a loro ho suonato su palchi che non avrei neanche mai sognato di vedere (Olympia di Parigi, 02 Academy & Sheperd’s Bush a Londra…). Non immaginavo di poter addirittura stringere amicizie, come è successo con alcuni di loro, ma la cosa più importante che ho imparato da questi “Big” della musica è quanto questo sia un mestiere che necessita di una solidità impressionante e soprattutto quanto lavoro duro ci sia dietro la facciata della “Star”. Ogni concerto ha fatto di me la persona e il musicista che sono adesso e vivendo la musica dal vivo e il mondo che la circonda, ho imparato che cosa voglia dire farlo nella vita.
La passione per la musica è la cosa principale per cui ogni artista inizia la sua carriera e che io rivivo in ogni canzone quando la canto davanti al pubblico. L’emozione più grande che ho provato in questi anni di concerti è stata proprio quella di vedere con i miei occhi cosa hanno suscitano le mie canzoni nella gente, vedere la magia della musica che riesce ad unire migliaia di persone insieme, creando una specie di anima collettiva di cui tutti fanno parte: band e pubblico, un tutt’uno che mi ricorda sempre quanto io ami la musica.
Devo dire che uno dei “Big” con cui ho condiviso il palco e che mi è rimasto davvero nel cuore è Joan Baez. Aveva attorno a sé un’aurea magica, parlava con gli occhi e con le espressioni. Ha guardato tutto il mio show da dietro le quinte, che non è scontato, perché di solito quando vanno in scena gli opening act, gli headliner sono in camerino a prepararsi. Lei invece è rimasta e finito il concerto mi ha abbracciato forte; non lo dimenticherò mai.
Anche Natalie Imbruglia è stata una fantastica compagna di tour, insieme alla sua band; mi invitavano sempre a bere con loro dopo il concerto e ho passato un sacco di bellissime serate musicali con tutti loro! I posti più belli in cui ho suonato e che mi sono rimasti nel cuore sono l’Olympia di Parigi, 02 Academy a Londra, Théâtre Antique di Vienne e sicuramente lo Spazio 211 di Torino, casa mia”.

Parlaci della tua collaborazione con Paolo Nutini.
“In realtà non ho proprio collaborato con Nutini, ma con il produttore e parte della sua band su tre mie canzoni al Grouse Lodge Studio di Dublino. È stata un’esperienza incredibile, davvero, fatta di musica, jam session, vagonate di birra e racconti esilaranti di musicisti professionisti con una vita di musica alle spalle. La ripeterei molto volentieri!”.
Hai un cavallo di battaglia?
“Non l’ho mai vista così, ma tra le mille canzoni che ho scritto e le centinaia che ho portato sul palco, una che da quando è entrata in scaletta non se n’è mai andata è ‘Mallow‘. E devo dire che è una delle canzoni che il pubblico canta più che volentieri”.
In occasione del Torino Music Forum presenterai insieme alla tua band il tuo primo album: ‘Techno Drug Store’. Parlaci di questo progetto.
“L’album ‘Techno Drug Store‘ non è nato come tale, ma più come una selezione delle canzoni che mi piacevano maggiormente. Il titolo dell’album viene dall’omonima canzone, la traccia numero 5. Oltre a essere un titolo che mi piace molto, l’ho scelto perché rappresenta benissimo l’eterogeneità dell’album. ‘Techno Drug Store’ per me è il mondo in cui viviamo oggi, un mondo pieno di possibilità che, grazie alle tecnologie, lascia quasi l’imbarazzo della scelta e rende più difficile per noi giovani “scegliere” quale strada percorrere nella vita. Una via che un tempo poteva sembrare sicura e retta, oggi non darebbe le stesse sicurezze a chi la intraprende.
Ecco perché “Drug Store”, un gigantesco supermercato che offre talmente tante scelte che, se non hai le idee chiare, rischia di farti perdere la strada. Techno invece, non rappresenta un genere musicale, ma il fatto che siamo sempre più legati a vivere la nostra vita tramite la tecnologia (smart working, registrare un album su un computer, laurearsi in un’università londinese vivendo a Torino…). In sintesi l’album parla di amore, gioia e solitudine vissute da un ventenne nel 2020. Mi ritengo molto soddisfatto di questo lavoro, sono tutte canzoni che mi suscitano tante emozioni e che ritengo molto originali e semplicemente fighissime. Non vedo l’ora di suonarle sul palco con tutta la band!”.
Il 4 dicembre presenterai anche in anteprima, ‘Over The Weather’, che uscirà a metà dicembre. Anche in questo caso il sound è di stampo indie folk.
“Molto più folk che indie direi. Una canzone d’amore, chitarra e piano, calda e profonda, decisa e diretta. Credo sia una delle melodie più forti che ho nel cassetto. È rimasta lì per anni finché non ho avuto l’ispirazione giusta per scrivere il testo. Credo sia perfetta per questo periodo dell’anno; una canzone da ascoltare di fianco al camino come in macchina, verso mete d’alta quota. Mi piace molto e spero piaccia a tutti coloro che verranno sabato 4 al Supermarket”.
Sogno nel cassetto?
“Riempire Red Rocks Amphitheatre (Colorado) come data finale di un mega tour negli States… Direi che arrivare lì sarebbe davvero una conquista e in poche parole, un non poco ambizioso obiettivo da raggiungere!”.