Abbiamo già avuto modo di parlare in un precedente articolo di Lidia Maksymowicz e della sua storia. Deportata da bambina nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau assieme alla madre, ha vissuto gli orrori del genocidio nazista. Lei, assieme ad altri bambini, è stata cavia per i disumani esperimenti di Mengele.
Una storia tragica, resa ancora più terribile con la separazione dalla madre. Dopo essere stata liberata dal campo, alla fine della guerra, Lidia venne adottata da una donna polacca. Crebbe con lei, ma non smise di pensare a sua madre.
Dopo anni, come se il destino volesse concederle una carezza per compensare l’orrore che ha subito, Lidia ritrovò la madre. Anche lei, sopravvissuta alle “marce della morte”, non aveva mai smesso di cercare la figlia. E riuscì a ritrovarla grazie a quel numero tatuato sul braccio, quello di cui la piccola Lidia si vergognava, e che nascondeva sotto un cerotto.
“La bambina che non sapeva odiare”, la testimonianza scritta di Lidia Maksymowicz
La storia di Lidia ha incrociato l’associazione “La memoria viva” di Castellamonte, e insieme hanno deciso di raccontarla al mondo. Perché è la testimonianza di una tragedia che non dovrà mai più ripetersi, ma anche perché è la storia di una speranza che diventa vita.
Dalla sua storia è nato un docufilm, “70072: la bambina che non sapeva odiare. La vera storia di Lidia Maksymowicz”. E in seguito anche un libro, “La bambina che non sapeva odiare”, scritto da Lidia in collaborazione con il giornalista Paolo Rodari.
Una testimonianza profonda che ha meritato la prefazione di Papa Francesco in persona, che Lidia ha incontrato l’anno scorso. “Quando Papa Francesco mi ha baciato il numero tatuato sul braccio”, ci ha raccontato Lidia in un’intervista esclusiva che ci ha gentilmente concesso, “ha baciato il numero di tutte le vittime della follia nazista”.
L’importanza di raccontare
Lidia in questi giorni ha incontrato autorità e stampa, all’interno di un’agenda fitta di appuntamenti che le concede ben poco tempo libero. Nella giornata di sabato 22 gennaio era già in ritardo di mezz’ora sulla sua tabella di marcia; fermata per strada da uno studente universitario, ha tuttavia voluto fermarsi per rispondere alle sue domande.
“Perché non si deve mai rifiutare l’opportunità di parlare ai giovani: sono loro i destinatari più importanti del mio messaggio”, dice Lidia. Ed è per questo motivo che nel nostro tempo con lei abbiamo voluto quasi omettere le domande, lasciandole la libertà di esprimere ciò che le preme dire al mondo più di ogni altra cosa.
Non è retorico parlare di emozione o commozione sentendola palare; sarebbe invece stupido non ammetterlo. L’incontro con Lidia Maksymowicz è sicuramente uno di quei momenti che ti segnano e ti insegnano qualcosa. E se, per dirla alla De André, “per stupire mezz’ora basta un libro di storia”, per rimanere stupiti per sempre – nel bene o nel male – basta ascoltare le sue parole.