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sabato 10 Giugno 2023

Una voce nel coro: intervista a Stefano di Stasio

Il pittore Stefano Di Stasio ci ha gentilmente concesso un'intervista. Attualmente è in corso una sua mostra al museo Ettore Fico che vi consigliamo di visitare

Le opere di Stefano di Stasio sono quelle che più di altre mi hanno catturato l’occhio durante l’ultima edizione di Artissima. Perché il mio modo di approcciare una mostra d’arte contemporanea è concedere un primo giro perlustrativo in cerca di qualcosa che rubi la mia attenzione, come una sorta di test.

È esattamente quello che mi è successo mentre passavo davanti allo stand dello Studio Vigato di Alessandria. La galleria esponeva una serie di tele dallo stile figurativo molto accattivante, ed è stato proprio questo il dettaglio che ha mi ha colpito.

Stefano Di Stasio, l’eccezione all’eccezione

Nel panorama dell’arte contemporanea (e tra gli gli stessi espositori di Artissima) prevale lo stile astratto, il concettuale, la ricerca. A tratti la provocazione – che se intelligente è sempre apprezzata – e, in generale, si tende a cercare il segno piuttosto che la figura. All’interno di quel contesto, i quadri di Di Stasio sembravano un elemento stonato proprio in quanto “intonato” .

Considerando l’arte contemporanea un’eccezione alle regole accademiche dell’arte classica, i lavori di Di Stasio diventano così un’eccezione all’eccezione. O meglio, una regola all’eccezione che riporta l’arte sui binari della classicità ma che, proprio per questo, si ritrova a essere la voce fuori dal coro.

Ma la pittura dell’artista non si limita solo a questo, e ne abbiamo parlato già in un altro articolo. Questo dettaglio è stato più che altro il motivo che mi ha spinto a fare delle domande a Di Stasio, cui lui ha gentilmente risposto.

Alcune opere di Stefano Di Stasio esposte ad Artissima 2021

Intervista a Stefano Di Stasio

I suoi lavori sembrano oscillare tra il surrealismo e la metafisica: molti quadri mi ricordano piacevolmente Magritte coniugato con un certo senso del mitologico che ritrovo in De Chirico. È così o sono fuori strada?

Partiamo dal presupposto che con questi nomi mi fai un complimento, e con questa idea confermi l’opinione di altri. Personalmente mi ritrovo in una posizione analoga a questi pittori, perché di fronte all’arte più sperimentale e d’avanguardia, sembrò giusto a un certo punto fare il giro di boa e ritornare al figurato.

Quando nel ’78 ho fatto il primo quadro di questo genere, l’idea era proprio quello di fare una provocazione ulteriore; si trattava di un’opera di due metri, in stile ottocentesco, e quando fu esposta a Roma fece discutere.

Un passo avanti mascherato da passo indietro, insomma

Perfetto, hai detto in due parole quella che è esattamente la mia posizione. Da quel momento in poi mi sono rinnamorato della pittura che io amavo fin bambino. Il fatto è che nessuno nel mondo contemporaneo ci impone una via da seguire, ognuno di noi ricerca un proprio percorso.

La mia pittura nasce da un recupero accademico; una rappresentazione classica, prospettica, ma invece di mostrare temi religiosi come si faceva una volta mostro ciò in cui credo io oggi. Credo nella mia immaginazione, in cui c’è sicuramente un messaggio ma di cui non sono assolutamente consapevole mentre tiro fuori l’immagine.

Da qui può venire fuori anche lo spaesamento del surrealismo, della metafisica, che mi può accomunare a questi grandi pittori, tra i quali potrei anche inserirci Balthus. Non avendo una committenza storica o sociale, mi invento una mitologia interna, dove c’è spesso il mio vissuto ma anche la cultura, l’archeologia, il mito. Tutte cose che abitano nella mia psiche ma, penso, anche in quella di altri.

“La via dell’acqua” – Stefano Di Stasio

Come abbiamo detto, oggi l’arte contemporanea predilige l’antifigurativo, il concetto, l’installazione. Stefano Di Stasio, che nella sua pittura ha riportato la figura, la prospettiva, il punto di fuga e l’anatomia, si sente fuori dall’arte contemporanea o dentro?

Dentro per forza, in quanto sono vivo oggi… Però penso che sia una possibilità dell’arte contemporanea essere così, controcorrente. Bene che si vada avanti con il progresso, con le conquiste di venti anni fa, ma tra le strade da percorrere anche quella dell’accademia è valida.

Già nella fine degli anni ’70 mi sembrò – e non solo a me – che le grandi conquiste delle avanguardie fossero state già sperimentate; si poteva andare avanti all’infinito, ma in realtà 40 anni dopo vedo che non c’è più il “graffio” di una volta.

Quando Kounellis mette i dodici cavalli all’attico nel 1969 lì c’è un vero colpo, un gesto d’avanguardia forte. Mi sembra invece che oggi non ci sia più lo scopo di questi gesti perché ormai sono assolutamente acquisiti dalla società.

La provocazione sembra aver smesso di essere una buona provocazione, insomma. Forse è tempo di andare oltre ciò che adesso sembra essere “oltre”.

Esattamente. Ormai è diventato un linguaggio accademico comune per cui ora mi sembra meglio avere quest’altro tipo di comunicazione, decisamente antimoderno ma che forse però ha ancora un senso nel moderno. Nel villaggio ci vuole sempre il pazzo che mette in guardia tutti.

La classica voce fuori dal coro. Oppure la voce nel coro quando poi sono tutti fuori dal coro

Esatto, bravo. Il gioco è questo.

Signor Di Stasio, la saluto e la ringrazio per la sua disponibilità

È stato un piacere, grazie a voi.”

Danilo D'Acunto
Danilo D'Acunto
Dopo una formazione classica ho proseguito gli studi specializzandomi con lode in Archeologia e Storia dell'Arte Antica presso l'università Federico II di Napoli. Da anni mi occupo di divulgazione e promozione culturale guardando con interesse tutti i campi del settore, dalla letteratura all'enogastronomia, passando per arte, storia e fumetto.

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