Si chiamava Orlando Merenda, 18 anni appena compiuti, il ragazzo che il 20 giugno scorso ha deciso di togliersi la vita gettandosi sotto ad un treno tra la Stazione Torino Lingotto e Moncalieri. La mamma Annamaria raggiunta in Calabria, dove vive da tempo, da Sky TG24 ha detto di sapere da sempre dell’omosessualità del figlio. La Procura ha aperto un fascicolo ipotizzando il reato di omofobia e bullismo, che potrebbero appunto aver portato il ragazzo esausto dei continui insulti sulla sua natura sessuale a maturare la nefasta decisione.
Cosa può aver portato al suicidio si chiedono in tanti? La mamma ha spiegato: “Aveva un dolore che lo opprimeva, aveva un peso dentro per le parole che ha dovuto sopportare”, per poi aggiungere: “Devono pesare le parole perché una parola è più di uno schiaffo: uccide, ti devasta dentro” . Solo un rammarico per la mamma non aver detto al figlio con più convinzione che: ” Non si doveva arrendere, doveva lottare contro i pregiudizi e l’ignoranza”.
Si poteva fare qualcosa, ci chiediamo, per evitare una simile tragedia, le istituzioni, in primis la scuola, non dovrebbero puntare su una maggiore alfabetizzazione su questi temi? Ne parliamo con la Dott.ssa Paola Palmieri, psicologa, psicoterapeuta, consulente famigliare, che offre il suo supporto a famiglie e ragazzi nel suo studio di Torino, che ci ha concesso un piacevole ed interessante confronto. Di seguito le sue parole in questa intervista in esclusiva:
Torino, Orlando ossessionato dalle offese, cosa può spingere a tanto? Ne parliamo con la Dott.ssa Palmieri
TTN: Cosa può, a suo avviso, indurre un giovane all’ atto estremo, quali dinamiche possono portare a credere che sia meglio farla finita piuttosto che sopportare ancora bullismo, insulti, eventuali “fallimenti “?
Dott.ssa Palmieri: In questa società nella quale siamo tutti costantemente connessi con tutti, in realtà siamo molto soli. E gli adolescenti ancor di più. Spesso non ci sono veri amici, confidenti, ma surrogati di amici di chat.
I ragazzi/e mi raccontano spesso del loro senso di solitudine, nella mancanza dell’amico speciale con il quale confidarsi. La convivenza forza della pandemia ha messo in evidenza come spesso si sta accanto nelle famiglie e non assieme.
Noi genitori chiediamo troppo spesso “com’è andata l’interrogazione” e raramente “come stati, cosa provi…” I vissuti angosciosi legati alla malattia ed alla morte, durante la pandemia, hanno toccato anche i giovani, non solo gli adulti. Ma raramente nelle case se n’è parlato. Abbiamo esorcizzato cantando sui balconi ed infornando focacce.
Ma se non posso parlare con i miei genitori della paura della malattia come riesco a confidarmi su temi più profondi legati alla mia identità di genere, od alle paure generate dal bullismo? Molti adolescenti in terapia mi dicono che noi adulti, genitori ed insegnanti, parliamo molto, dimostriamo di essere informati su molte tematiche moderne (bisessualità, no binary. Ecc…) ma ascoltiamo molto poco.
Quindi, in una fase della vita nella quale tutto è bianco o nero, tutto meravigliosamente bello o tutto terribilmente nefasto. La dove non c’è spazio per colorare il mondo di sfumature. Io adolescente non vedo vie di uscita dalla mia angoscia, dalla mia solitudine, dalla mia paura, e vivo talvolta la morte come l’unica medicina possibile.
Come si potrebbe supportare i giovani affinché non si pensi più al suicidio?
TTN: Come si potrebbero, a suo avviso, educare i giovani affinché comprendano il peso delle parole e individuino loro stessi quando queste iniziano a fare troppo male al prossimo? Un conto è la battuta altra il bullismo o il cyberbullismo, quali strumenti dovrebbero essere messi in campo, anche dalle istituzioni scolastiche, per aiutare, mi passi il termine volutamente forte, ‘vittima’ e ‘carnefice’ a non fare danni irrecuperabili?
Dott.ssa Palmieri: Possiamo educare I giovani alla “delicatezza delle parole” in primis usando noi adulti le parole con il giusto garbo. Per primi i politici, i pater familiae dello Stato, usano da anni il web per dar sfogo alle peggiori pulsioni primordiali, insultano, offendono, aggrediscono con le parole.
In famiglia i genitori vomitano rabbia, insoddisfazione, facili giudizi, e così facendo educano al parlare non pensato, alla violenza verbale.
È necessario ritornare tutti ad una attenzione delle parole usate, scritte, utilizzate in famiglia, sul lavoro, nei social. Insegnare ai nostri figli a mediare linguisticamente significa anche insegnare loro a mediare a livello emotivo, a gestire meglio la propria impulsività
TTN: La ringraziamo di cuore per questa bella intervista
Dott.ssa Palmieri: Grazie a lei Erica per lo spazio concesso parlare di questi temi é davvero importante.