Nel 2011 gli viene diagnosticata la sclerosi multipla, ma Fabio Guglierminotti ha mantenuto lo spirito e l’atteggiamento di quando saliva sul ring e diventava Fabio Wolf. Proprio per questo motivo sentiva la necessità di raccontare alle persone cosa potesse fare nonostante la malattia e grazie al suo caro amico Davide Pallavicini, ha fondato l’Associazione 160cm.it, nata per dare a tutte le persone la possibilità di fare aggregazione e attività fisica.
Grazie al supporto di tutte le persone che hanno contribuito al sostegno di questo progetto, è stato possibile donare all’ospedale Molinette un macchinario ad onde d’urto radiali che Fabio ha provato in prima persona per migliorare la sua spasticità alle gambe.
Cicloviaggiando con la sclerosi multipla
Com’è cambiata la tua vita dopo aver ricevuto la diagnosi di sclerosi multipla?
“Già solo sapere della diagnosi la vita ti cambia, anche se tu non avverti nulla perché è come se si rivelasse la famosa spada di Damocle che ognuno di noi ha e quindi in quel momento la propria percezione del futuro o di quello che sarà, viene modificata.
Per darti un’idea è come se a un’auto in corsa a 180 all’ora venisse tirato il freno a mano di colpo e cominciasse a girare su sé stessa; mancano le sicurezze, inizi a farti delle domande, poi è soggettivo, ognuno reagisce in modo diverso, però il mio istinto è stato quello di guardare dentro di me, cercando una strada per superare la problematica, anche se inizialmente ho avuto uno sbandamento molto forte”.
Il tuo nome è Fabio Guglierminotti, ma tutti ti conoscono come Fabio Wolf. Anche tu “risolvi problemi” come l’omonimo protagonista di Pulp Fiction?
“Non lo so se risolvo i problemi, innanzitutto cerco di risolvere i miei e non sempre ci riesco. Il soprannome deriva da quando facevo attività agonistica, thai boxe e pugilato e me lo sono cucito addosso come una seconda pelle. Quel Wolf rappresenta per me l’impegno che ho messo in quegli anni e la voglia di mettermi in gioco e comprendere quali fossero i miei limiti, cercando di superarli“.
Come nasce il progetto 160cm?
“La scelta nasce grazie al mio carissimo amico Davide Pallavicini che fa parte del progetto e che ha un’agenzia di comunicazione a Milano. Nel 2016 prima di fare il mio viaggio in bici in Sardegna gli dissi che sentivo la necessità di raccontare cosa potessi fare nonostante la malattia, poiché riscontravo parecchia ignoranza da parte delle persone e il binomio sclerosi multipla carrozzina mi stava abbastanza stretto, anche se è una patologia che solitamente può portare sulla sedia a rotelle, però non è detto che il decorso debba per forza essere quello.
Perché hai scelto di chiamarlo così il progetto?
Per aprire questo blog Davide mi chiese quanto fossi alto in bici, mi misurai ed ero 160cm, un’altezza che corrisponde allo sguardo dagli occhi al suolo, un nuovo sguardo rispetto alla vita, un modo per sfidare la malattia mantenendo la mia identità perché io sono sempre andato in bici. Il mio primo cicloviaggio l’ho fatto nel 1994 e quindi non è che io vado in bici perché ho la sclerosi multipla, io vado in bici nonostante la sclerosi multipla. Malgrado la malattia cerco di mantenere la mia identità. Da quei 160cm Fabio rimane sempre Wolf. Lo spirito e l’atteggiamento mentale che avevo quando salivo sul ring è sempre il medesimo”.

Nei tuoi viaggi in bici hai attraversato l’Italia e l’Europa. Qual è stato il viaggio più bello e quale quello più faticoso?
“È difficile dire quale sia stato il viaggio più bello, sicuramente dopo i tre mesi di ricovero del 2018, l’estate successiva ho percorso i Balcani pedalando da Trieste fino in Grecia a Patrasso; è stata una pedalata, un viaggio che mi ha ridato forza perché ho dimostrato a me stesso in primis che la mia identità non era cambiata e che comunque mi ero riappropriato di quello che la malattia ha cercato di togliermi in qualche modo.
Vivo la malattia un po’ come se fosse un match: come sul ring il primo incontro è proprio contro me stesso, contro le proprie emozioni. A livello di fatica il viaggio di quest’anno; sono partito da Torino passando per la Bretagna, la Normandia, il Belgio e l’Olanda, trascorrendo parecchio tempo sotto la pioggia, riuscendo però nonostante tutto a superare un mio limite, poiché non mi era mai capitato di passare così tanti giorni sotto ad un temporale. Le temperature poi non erano altissime; in Normandia alla sera c’erano 8 gradi”.
Raccontaci alcune delle tappe europee più significative come quelle in Francia, Portogallo, Spagna e Olanda.
“Ne ho tanti di ricordi. Sicuramente il primo viaggio del 2013 dopo la diagnosi, quando ho fatto Torino Barcellona. Arrivare in Spagna è stata la dimostrazione di essere ancora Wolf, ancora me stesso; la malattia non mi ha tolto lo spirito combattivo, non mi ha tolto comunque la voglia di fare e quindi quel viaggio ha ristabilito il mio equilibrio. Ho ricevuto la diagnosi nel 2011 e poi dovevo fare una terapia nella quale dovevo prendere un farmaco che andava tenuto in frigo. Ciò non mi permetteva di poter viaggiare in autonomia per diversi giorni perché comunque la borsa frigo non bastava. L’arrivo a Barcellona l’ho vissuto come un riappropriarmi della mia libertà.
Altri due posti che mi sono piaciuti molto sono stati il Portogallo e l’Albania perché il Portogallo ha molte piste ciclabili che non pensavo, anche se io ho pedalato sempre sulla costa e poi quando l’ho percorso mi sono reso conto di due aspetti: il primo è la lentezza, anche nel dare i servizi, ma è un bene perché la nostra società è molto frenetica e poi mi ha colpito il loro modo di porsi rispetto alla vita.
Ho trovato delle strutture molto ben equipaggiate, con dei prezzi decisamente competitivi, persone sorridenti; lo stesso in Albania dove sono stato anche aiutato. Diciamo che nei miei viaggi incontro sempre gli aiutanti, un po’ come nelle favole di Propp in cui ci sono gli opponenti e gli aiutanti e questi ultimi nel momento del bisogno si materializzano dando una mano.
In Albania ad esempio dopo aver percorso il passo di Llogara, sono stato accolto e ospitato da un apicoltore, poiché gli albanesi hanno un codice d’onore che si chiama Kanun e non lasciano le persone in difficoltà; nei piccoli paesi riscopri proprio l’umanità. Anche in Francia mi è capitato di essere ospitato, mentre in Italia sono stato accolto dall’associazione Il Pedale nel Cuore e dal rifugio Sapienza. Questi episodi danno una percezione diversa dell’essere umano rispetto a quello che può capitare nella quotidianità, dove la gente ti suona se non parti con il verde subito o cose di questo tipo”.
Viaggi da solo o in compagnia di una persona di fiducia?
“I viaggi li faccio in solitaria poiché per me un viaggio in bici è un viaggio catartico che mi fa riprendere un contatto con me stesso, facendo chiarezza nel labirinto dei miei pensieri quando sono preoccupato o teso. L’unica volta in cui ho viaggiato insieme a qualcuno è stato prima di arrivare a Santiago di Compostela dove ho conosciuto un ragazzo irlandese che mi ha tenuto compagnia per tre giorni”.
Il tuo “cammino di Santiago” è stato illuminante a livello spirituale?
“Io non sono cattolico; ho una mia visione e rispetto ovviamente chiunque la pensa in modo diverso da me. Sicuramente anche in quel contesto ho incontrato persone e personaggi che hanno arricchito il mio percorso, perché quando faccio un viaggio in bici attraverso i luoghi, ma allo stesso tempo mi faccio attraversare dai luoghi con cui entro in contatto e quindi si crea comunque un’atmosfera particolare”.
Ci ha colpito particolarmente questa tua frase: “Pedalare per ore da solo mi dà modo di riflettere, di schiarirmi le idee, di ascoltarmi, il viaggio per me è una catarsi”.
“Sì è proprio così, poi a me piace viaggiare anche di notte in cui i contorni sono meno definiti e la mente può spaziare con la fantasia, in maniera sempre attenta e vigile; la bici però mi sostiene sia a livello mentale che fisico, poiché il suo andamento ciclico mi aiuta a contrastare la spasticità, dandomi comunque libertà di movimento. Contribuisce a fare chiarezza nei miei pensieri, è un flusso di coscienza che viene fuori, aiutato dalla pedalata e dall’attività fisica”.

Così come negli sport da combattimento affronti la malattia di petto. “Sclerosi Fuck” è l’emblema di questa filosofia di vita?
“Sì, è un’idea che nasce sempre da Davide Pallavicini, che conosce molto bene il mio modo di essere nel bene e nel male e il mio approccio nei confronti della vita. Per questo motivo dalla sua mente creativa ha tirato fuori questo claim ‘Sclerosi Fuck‘, in cui mi riconosco appieno. Nel 2016 ho accettato di fatto la malattia, quindi ho deciso di dirlo come se stessi facendo outing, andando oltre a questo limite e quindi Sclerosi Fuck!”.
Ci sono delle canzoni ricorrenti che accompagnano i tuoi viaggi?
“Io non ascolto più musica mentre viaggio perché una volta venendo giù dal canavese ho rischiato di essere investito, per cui da quel momento l’ho tolta dal telefono, poiché ho capito che mentre pedalo devo essere sempre vigile. Le cuffiette le tengo per una telefonata se capita, ma non ascolto musica, però canto quello che mi passa per la testa: dai Beatles a De André, magari improvvisando le parole in base alle emozioni che sto provando in quel momento”.
Sappiamo che in passato hai praticato thai boxe e pugilato a livello agonistico. L’amore per lo sport è ancora oggi una costante nella tua vita?
“Lo sport è vita! A me ha dato tantissimo e continua a darmelo, permettendomi di mantenere la mia autonomia. Mi è servito per conoscermi a fondo, per capire quali fossero i miei limiti, ma anche per provare ad andare oltre, dandomi l’opportunità di conoscere le persone che mi continuano ad accompagnare da vent’anni. Lo sport è una scuola di vita perché ti permette di avere una conoscenza di te stesso molto approfondita e questo quando devi affrontare una difficoltà, in questo caso una malattia autoimmune che tende a toglierti autonomia, anche fisica, mi permette di andare avanti.
Ho una piccola palestra in casa e tutti i giorni faccio un po’ di ginnastica o vado in piscina; poi ci sono dei giorni in cui riposo tutto il giorno, però di fatto lo sport è una costante della mia vita e secondo me dovrebbe essere molto più presente nella scuola italiana perché ti aiuta ad entrare in contatto con gli altri, in modo tale da creare un confronto. Lo sport ti aiuta a comprendere come sia la vita: come puoi affrontare i momenti belli, i momenti dove perdi, quelli dove riesci a raggiungere il risultato o i momenti dove devi distaccare per riuscire a capire dove migliorarti.
Hai qualche consiglio per i giovani?
Io dico sempre ai giovani di seguire le proprie passioni, perché nessuno te le può togliere, è una cosa tua alla quale ti aggrappi nei momenti di difficoltà; allo stesso tempo suggerisco di fare attività fisica perché ha un valore introspettivo enorme dato che impari a prenderti un impegno, impari a capire che ci sono delle regole”.

I progetti di Fabio Wolf
Tu e la bicicletta siete una cosa sola, come mai hai scelto di raccontare la tua storia e il tuo progetto proprio attraverso questo mezzo di trasporto?
“Io sono salito sulla bici nel ’92, avevo 14 anni, perché non mi andava di prendere il pullman per spostarmi, mi piaceva essere autonomo. Ho pertanto iniziato a girare per Torino quotidianamente con la mia Graziella bianca e nel ’94 ho fatto il mio primo viaggio in Francia insieme al mio amico Riccardo che fa parte anche lui dell’Associazione e da lì non sono più sceso dalla bicicletta.
Ho fatto poi il giro della Corsica nel 2001 in solitaria e poi ho ripreso a viaggiare nel 2013 poiché il mio sogno era andare da Torino a Barcellona. La bicicletta pertanto da mezzo di trasporto è diventata uno stile di vita e ora è un prolungamento delle mie gambe perché di fatto mi continua a dare autonomia nonostante io abbia spasticità agli arti inferiori”.
Raccontaci la tua giornata tipo
“Al lunedì ho lezione alle 8:30 all’Università, poi lavoro. Ad ogni modo non posso stare molto seduto perché se no le gambe iniziano a contrarsi, quindi quando mi sveglio faccio un po’ di esercizi e poi ogni giorno cerco di fare attività fisica andando a nuoto, in palestra, occupandomi sempre dell’Associazione. Sono costantemente impegnato su più fronti, cercando di essere attivo il più possibile; poi ci sono giorni in cui mi devo riposare, però le mie giornate sono belle piene, non ho tempo di annoiarmi; 160cm.it mi sta prendendo tantissimo tempo e tante energie, dandomi molto.
È un impegno nel quale io credo e poi ci sono parecchie persone che stanno contribuendo e quindi per me è anche una responsabilità perché se una persona mi aiuta, mi segue, io mi sento anche in dovere di essere presente, cercando di dare il cento per cento”.
Il progetto 160bike nasce per incoraggiare tutte le persone con sclerosi multipla a muoversi e per offrire a tutti i sostenitori un mezzo con il quale aiutare la collettività a costruire un mondo più accessibile, più vicino ai bisogni dei malati di SM. Quanti chilometri hai percorso fino ad oggi?
“Non saprei esattamente. Dal 2014 ad oggi avrò percorso più di 170.000 chilometri con una media di 10/12.000 chilometri l’anno. Nell’ultimo viaggio ne ho fatti 2.137, mentre nell’anno del Covid ne ho percorsi 10.000 e l’anno prima sono arrivato a 12.000. La macchina l’ho usata pochissimo perché perdevo troppo tempo nel cercare parcheggio, con la bicicletta invece ci mettevo un attimo; infatti adesso ho una bici per ogni evenienza”.
Il 27 novembre si terrà un altro evento con 160bike che partirà da Bairo (TO) e coinvolgerà tutti i comuni del canavese. Hai intenzione di proporre altre iniziative in Piemonte?
“L’Associazione sta proponendo diverse iniziative per il 2022 con 160bike in modo da dare l’opportunità di fare attività fisica all’aperto con la bici; allo stesso tempo ci stiamo concentrando su un altro aspetto, ovvero il supporto psicologico con un progetto legato all’AFA (attività fisica adattata), che sto provando io in prima persona, che può aiutare anche in maniera divertente e non per forza fisioterapica un problema”.
Quali sono le prossime tappe in programma nel resto d’Italia e all’estero?
“L’idea è quella di fare appena sarà possibile un tour italiano, poi mi piacerebbe andare in Germania a Berlino, ad Amburgo, in Danimarca, passare da Praga, in Inghilterra, Irlanda… Nella mia testa vorrei girare tutto il mondo in bici, tranne alcuni posti troppo freddi in cui ci va una preparazione particolare. Però il prossimo viaggio all’estero potrebbe essere in Svizzera perché l’azienda dalla quale abbiamo acquistato il macchinario ad onde d’urto radiali, ovvero la Storz Medical, ha base lì; per questo motivo mi piacerebbe portare questo risultato in bici nella loro sede principale. Sarebbe un viaggio con un significato particolare, poiché ci arriverei con le mie gambe trattate proprio con il loro macchinario”.

Quali sono gli accessori fondamentali che non possono mancare nei tuoi lunghi viaggi? (Penso alla go pro, contachilometri o navigatore satellitare, borraccia, caschetto…)
“Il contachilometri, poi mi porto sempre dietro una sedia pieghevole, il fornelletto, qualcosa da mangiare, l’acqua (solitamente viaggio con tre litri), un campanello, le luci che sono fondamentali per me perché molto spesso tendo anche a viaggiare di notte; inoltre non possono mancare delle camere d’aria e una pompa, necessarie in caso di foratura, insieme agli attrezzi di prima necessità e poi occhi sempre aperti”.
Durante i tuoi viaggi chi ti paga le spese? Chiedi aiuto alla tua community oppure i tuoi sostenitori ti finanziano prima di ogni partenza?
“Fino ad oggi mi sono sempre pagato tutto io con il mio stipendio. Noi cerchiamo fondi non tanto per i miei viaggi, ma principalmente per l’Associazione, in modo tale da continuare a portare avanti il progetto”.
A quindici anni dalla prima laurea in DAMS e da pochissimo hai iniziato un nuovo percorso di studi: sei stato ammesso al SUISM (facoltà di Scienze motorie e Igiene). All’età di quasi 45 anni cosa ti spinge ad affrontare questa ennesima sfida?
“La voglia di conoscermi meglio, di comprendere maggiormente quello che sto facendo e il progetto mi dà una grande opportunità, ovvero quella di provare su me stesso quali esercizi siano migliori, ma anche impararne di nuovi per mantenere più a lungo la mia autonomia, in modo da riuscire a trasformare l’Associazione in qualcosa di concreto, perché per me sono molto importanti la coerenza e la concretezza che si trasformano in un impegno in prima persona”.
Qual è il tuo motto?
“Non voglio avere rimpianti. Se guardo al passato posso aver sbagliato, ma non voglio rimanere con l’idea di non aver fatto abbastanza per realizzare i miei sogni. Voglio poter affermare a testa alta: ‘Ho detto e ho fatto‘. Una cosa che mi ripeto sempre è: la fine quando è la fine”.
Sul sito 160cm.it è possibile raccontare la propria testimonianza o esperienza, non solo da parte di persone affette da SM, ma anche dalla coloro i quali ti supportano in questo straordinario progetto. Quanto è importante ricevere giorno dopo giorno questo sostegno?
“Molto importante perché mi dà forza così come i messaggi che ricevo durante i viaggi, perché questo affetto mi fa comprendere che forse sto facendo la cosa giusta, poiché le persone vanno al di là di quello che vedono dato che è molto impattante psicologicamente avere una difficoltà motoria, poiché quando la gente ti guarda pensi che ti guardi per come cammini, infatti per me questa è stata una delle cose più difficili. Quindi i messaggi di stima mi aiutano anche durante i momenti più duri, spingendomi ad andare avanti”.
Dopo aver beneficiato di un ciclo di trattamenti con le onde d’urto radiali, hai deciso di aprire una raccolta fondi in modo da poter acquistare il macchinario e donarlo all’ospedale Molinette. Quali benefici apporta questa terapia? Qual è la cifra necessaria per poter realizzare questo sogno?
“Il macchinario è ormai fisicamente arrivato alle Molinette e per Natale se non succede più nulla dovrebbe ufficialmente partire lo studio. Nel mio caso dopo aver beneficiato di questo trattamento, mi alzavo alla mattina con le gambe più morbide, poiché queste onde ad urto radiali penetrano all’interno del muscolo di 2-3cm e vanno ad interagire con il sistema nervoso centrale, lavorando sui fusi neuromuscolari che sono deputati all’allungamento delle fasce muscolari, in modo tale da permettere al muscolo di decontrarsi.
Le onde ad urto radiali aiutano anche a togliere il dolore, anche se certe volte su alcune persone possono non fare effetto, ma sempre senza avere controindicazioni perché non sono un farmaco che interagisce con il corpo”.
Hai in mente altri progetti?
“Assolutamente sì. L’obiettivo è quello di continuare a mandare avanti questo progetto multidisciplinare di 160cm con 160bike che è già in opera; poi nel 2022 vorremmo dare un supporto psicologico, insieme ad una serie di attività legate da una parte a quella che è l’aggregazione tramite 160music, 160smile, quindi tutto quello che riguarda la vita di ognuno di noi, dall’altra parte sviluppare il discorso dell’AFA che è l’attività fisica adattata proprio per permettere alle persone con delle problematiche di fare attività fisica tranquillamente e quotidianamente come se fossero in una palestra, in modo tale da concentrarsi su quello che si può fare e non su quello che non si può fare”.
Il finale poetico
Abbiamo deciso di concludere questa intervista con una poesia che Simona Truglio, tra i membri del consiglio direttivo dell’Associazione 160cm, ha pubblicato sulla sua pagina Facebook e deciso di dedicare nei confronti di Fabio Wolf e del messaggio di cui si fa portatore.
Ecco il contenuto del post:
“Ogni tanto capita di dover esasperare i toni per farsi notare, ma se il fine è nobile l’aver attirato l’attenzione è come un dare ‘la direzione’ a chi l’aveva smarrita. Stiamo in ascolto, su ciò che conta! A sostegno del messaggio di Fabio, ho trovato questo bellissimo scritto dei tempi dell’università:
C’è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c’è chi si sente soddisfatto
così guidato.
C’è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c’è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato.
C’è pure chi educa, senza nascondere
l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni sviluppo ma cercando
d’essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.“
Poesia di Danilo Dolci